Ladies and Gentlemen,
this week I have had the opportunity to attend a beautiful meeting with Prof. Samuel Jones who talked about “Callings“. But what are “Callings”?
I can introduce this concept with the words of professor Seligman who wrote the introduction of this wonderful, and smart book edited by my colleagues David Bryce Yaden, Theo D. McCall, and J. Harold Ellens “Being Called“.
At my 50th college reunion in May 2014, I found myself on panel of well-known Princeton alumni. “Career trajectory” was the topic. (..) The prevailing line was “I tried this..it felt good, so I did it more;” or “I tried that..people didn’t like it, so I stopped” and so blown hither and thither by my proclivities, by prevailing winds and internal and external rewards and punishment, I arrived at my profession.
“Not me.” I said. “I was called”.
In secular research tradition, a calling is a “meaningful beckoning toward activities that are morally, socially, and personally significant” (Baumeister, 1991; Bellah et al., 1985; Dekas, & Rosso, 2009). It has been mainly investigated in the work domain as one special kind of orientations towards work, the closest one.
It seems a good point in life. However, there are also dark shadows on this concept. Have you ever heard about “Workaholism“? When people stay late at work and work even during weekend and cannot shut it down?
I guess that many researchers suffer from this disorder, because, basically, a person starts doing research to change the world, to be memorable, to impact on other people’life. It is a sort of self sacrifice. It is natural to devote all your time doing this.
However, is it so bad?
Well, often this attitude in research could be found in people who did big and relevant discoveries. Take Rita Levi Montalcini, or Maria Skłodowska (Marie Curie). All life devoted to science. The latter died also for aplastic anemia due to her renew discoveries on Polonium and Radium.
Indeed, research demonstrated that if a person feels that he/she does a work for which he/she has been called…
- Reported more psychological wellbeing (Arnold et al., 2007);
- Reported more frequent positive emotions (Steger, Littman‐Ovadia, Miller, Menger, & Rothmann, 2013; Steger, Pickering, Shin, & Dik, 2010);
- Reported to see themselves in a better way (Torrey & Duffy, 2012);
- Reported lower levels of anxiety and depression (Steger et al., 2012).
What about today? Do we still feel to be called? If so, does it happen in work-related contexts or outside? If outside, where?
Do we really believe that it is possible to devote a whole life to pursue something bigger than us related to our job?
Did we feel a moment of pure insight, close to awe, when we chose our career?
Do you wanna know more? Check also this article!
ITA
Carissimi,
questa settimana ho avuto l’opportunità di partecipare ad una riunione presieduta dal professor Samuel Jones che ci ha parlato di “Vocazioni” “Chiamate“.
Chiaro a tutti, no? Forse è meglio se mi chiarisco le idee io e le chiarisco anche a voi.
Potrei introdurre questo concetto le parole del professor Seligman che ha scritto proprio l’introduzione di un libro interessante e insolito edito dal mio collega David Bryce Yaden, Theo D. McCall, and J. Harold Ellens che si chiama “Being Called“.
Ne maggio 2014, al 50esimo della rimpatriata con i miei colleghi del college, mi sono ritrovato nel mezzo di un gruppo di ex alunni di Princeton ben noti.
Il tema era il proprio “Percorso di carriera” (..) La linea che prevaleva era ” Ho provato a fare questo, mi sentivo bene, così sono andato avanti per questa strada;” oppure “Ho provato quello..alle persone non è piaciuto, così ho smesso” e così di qua e di là passando per le mie inclinazioni, seguendo l’andamento del vento e ricompense esterne ed interne, cosi’ come le punizioni, sono giunto alla mia professione”.
“Io no.” Dissi. “Io sono stato chiamato“
All’interno della ricerca di matrice non religiosa, la “chiamata” è intesa come una sorta di convocazione carica di significato verso attività che sono socialmente, moralmente, e personalmente significative” (Baumeister, 1991; Bellah et al., 1985; Dekas, & Rosso, 2009). Ho tenuto a specificare “non di matrice religiosa” perché si tratterebbe tutto di un altro mondo, mentre qui abbiamo a che fare maggiormente con le “vocazioni” studiate nel contesto lavorativo, quindi intese come una sorta di speciale orientamento al lavoro..uno di quelli più intimi.
Sembrerebbe si tratti di unicamente di un fenomeno positivo, tuttavia, ci sono anche dei lati oscuri che vanno considerati. Per esempio, avete mai sentito parlare del “Workaholism“? Si tratta di una dipendenza che si sviluppa nelle persone che non sanno e non possono allontanarsi, fisicamente e mentalmente, dalle proprie occupazioni professionali. È considerata una dipendenza rispettabile, socialmente tollerata, vissuta con una sorta di “benevolenza” sia dal soggetto che dall’ambiente.
Penso che ne soffrano molti ricercatori, perché, essenzialmente, una persona inizia a fare ricerca per cambiare il mondo, per essere ricordato, per avere un impatto sulla vita delle persone. È una sorta di di sacrificio personale. Ed è quasi naturale farlo, dedicare tutto il proprio tempo a questo.
Tuttavia, è davvero così negativo?
Beh, mi viene da dire che spesso nell’ambito della ricerca, almeno, un atteggiamento simile si è riscontrato in persone che hanno fatto la differenza nella storia. Prendete Rita Levi di Montalcini o Maria Skłodowska (Marie Curie). Tutta la loro vita è stata dedicata alla scienza e la seconda, addirittura, è deceduta a causa dell’anemia aplastica contratta in seguito all’esposizione al Radio e al Plutonio, due elementi radioattivi scoperti da lei. .
Infatti, la ricerca ha dimostrato che se facciamo un lavoro per cui ci sentiamo “chiamati” per cui abbiamo sentito la “vocazione”…
- Riportiamo di avere un maggior livello di benessere psicologico (Arnold et al., 2007);
- Riportiamo di vivere emozioni positive con maggiore frequenza (Steger, Littman‐Ovadia, Miller, Menger, & Rothmann, 2013; Steger, Pickering, Shin, & Dik, 2010);
- Ci vediamo sotto una luce più positiva (Torrey & Duffy, 2012);
- Riportiamo livelli più bassi di ansia e depressione (Steger et al., 2012). What about today? Do we still feel to be called? If so, does it happen in work-related contexts or outside? If outside, where?
Ma oggi esistono ancora le vocazioni lavorative? Voi l’avete avuta? Come vi è successo? Com’è stato il momento in cui avete realizzato di aver compreso il vostro posto nel mondo, lavorativamente parlando?
Abbiamo vissuto un momento di illuminazione improvvisa o è stato più graduale?
Sappiate che su quest’ultimo punto la ricerca ha ancora moltissimo da dire.
Se volete sapere di più sul mondo delle vocazioni, vi suggerisco di leggere questo articolo.